Le auto elettriche ibride plug-in (PHEV) inquinano quanto le auto tradizionali. Per questo l’Unione Europea ha intenzione di non considerarle più auto “green”, con tutte le conseguenze del caso.
Oltre ad avere il motore a combustione interna, benzina o diesel, le PHEV hanno in aggiunta un apposito motore, la batteria e l’elettronica per la propulsione elettrica. Il tutto al costo di alcune migliaia di euro ma soprattutto a fronte di un aumento di peso del mezzo che si ripercuote anche sui consumi. Ecco allora che se non si usa intensivamente la propulsione elettrica, che offre un’autonomia limitata a poche decine di chilometri, si finisce per consumare e inquinare come con un’automobile tradizionale.
Dai risultati di uno studio condotto da Greenpeace si evince che le emissioni di CO2 delle auto ibride ammontano mediamente a circa 120 g/km, molto più dei 44 g/km risultanti dai test ufficiali su circuito. Tanto per avere un’idea si pensi che i valori di riferimento sono di 5 g/km per le auto elettriche, 121 g/km per benzina, 122 g/km per diesel, anche se per questi due tipi di carburante i valori reali delle emissioni sono intorno ai 165 g/km. Considerato che per le PHEV i valori dovrebbero essere di 40 g/km, siamo ben lontani dai valori di riferimento.
Greenpeace definisce senza mezzi termini le auto ibride plug-in, che nella realtà emettono circa 2,5 volte la quantità di CO2 dichiarata, dei veri e propri lupi travestiti da agnelli. In un altro studio, Transport and Environment parla di truffa dell’ibrido plug-in e a cinque anni dallo scandalo Dieselgate di Volkswagen denuncia che le case automobilistiche continuano a falsificare i dati sulle emissioni, anche delle PHEV.
Insomma le auto ibride plug-in sono elettriche ma pur sempre “carbon intensive”. Non basta essere plugin, cioè avere il cordone ombelicale per la ricarica alla presa elettrica, per diventare un’auto senza emissioni. Queste auto continuano ad avere il tubo di scarico e lo usano.
Ora però il passaparola secondo il quale le auto PHEV sarebbero la scelta giusta per l’automobilista del futuro sembra prossimo al capolinea. Non si andrebbe oltre il 2025, secondo quanto prevede la bozza di un regolamento europeo attualmente in fase di studio, perché a partire dal 2026 le auto plug-in elettriche non saranno più ritenute un investimento ecosostenibile.
Come prevedibile, le intenzioni dell’UE hanno diviso il mondo dell’automobile. Da una parte gioisce chi ha sempre sostenuto che le auto che davvero non inquinano quando le usiamo sono solo quelle al 100% elettriche a batteria, cioè quelle che il motore tradizionale non ce l’hanno e basta. Dalla parte opposta stanno i sostenitori di un passaggio all’elettrico da attuare a lungo termine, ovvero il più tardi possibile. Su questo fronte troviamo sicuramente le case automobilistiche, molte delle quali non sono pronte ad una rapida transizione.
Si pensi che Toyota, che non a caso è il big dell’ibrido, ha apertamente invitato il Governo degli Stati Uniti a ritardare l’adozione delle auto 100% elettriche perché a suo dire non ci sarebbero le condizioni per poterlo fare. Tra le ragioni addotte a sostegno del rinvio c’è il limitato sviluppo della rete di ricarica. Sappiamo però che con le risorse stanziate dall’UE e dai singoli governi per il rilancio post pandemia enormi investimenti saranno destinati alla svolta verde, che tra i suoi punti qualificanti annovera il potenziamento delle infrastrutture di ricarica.
Lo scopo di chi rema a favore dell’ibrido sarebbe di arrivare almeno al 2030, tenendo il piede in due scarpe, nei motori a combustione e in una sorta di elettrico solo apparente, l’ibrido appunto, in attesa dell’arrivo dell’idrogeno tanto caldeggiato dai petrolieri che permetterebbe di saltare a pié pari quello che per loro è l’incubo dell’elettrico a batteria.
Le novità normative dell’Unione Europea sono un bel grattacapo per le case automobilistiche, che hanno investito nell’ibrido e si ritrovano a dover rivedere i propri piani industriali, come sta facendo Volkswagen e dietro la casa tedesca una dopo l’altra tutte le maggiori case automobilistiche del mondo. Lo stanno facendo prima di tutto perché letteralmente costrette dagli innovatori capeggiati da Tesla ad accelerare loro malgrado la svolta green, poste di fronte all’alternativa di innovare o scomparire.
Poi c’è una serie di altri motivi. Tra questi si aggiunge ora la novità che l’UE sta studiando per l’ibrido, perché le PHEV rischiano di essere escluse da incentivi, sgravi fiscali e finanziamenti dei governi, come succede già da alcuni anni in Olanda. C’è poi il problema della sempre più stringente normativa in tema di livelli di emissione delle auto Euro 7. Non a caso alcune case automobilistiche hanno annunciato che non svilupperanno nuovi modelli di automobili con motori Euro 7 ma piuttosto, in attesa della inevitabile transizione all’elettrico, punteranno a dotarle di motori Euro 6 modificati e migliorati.
Per le case automobilistiche verrebbe anche meno la possibilità di far valere i crediti verdi a favore della decarbonizzazione ottenuti grazie all’ibrido. Questi crediti sono utili per evitare le multe comminate dall’Unione Europea ai costruttori che continuando a produrre auto con motore termico superano i tetti fissati per le emissioni di CO2. Si pensi che per rispettare i limiti imposti dall’UE il gruppo FCA non ha potuto fare altro che acquistare da Tesla crediti per circa 1,8 miliardi di dollari.
Il malinteso delle auto ibride ha viaggiato a lungo sul filo dell’ambiguità. L’assimilazione delle PHEV alle auto a zero emissioni ha permesso alle case automobilistiche tradizionali di fare “greenwashing”, fingersi innovatrici tirando a campare senza dover investire pesantemente nel vero elettrico. Nel contempo ha portato confusione tra i meno esperti, complice anche una giungla di oscure sigle che, come nel gioco delle tre carte, confonde tutte le declinazioni delle auto elettriche, da quella che elettrica lo è al 100% (BEV) a tutte le altre che non lo sono affatto: PHEV, E-REV, HEV, MHEV, MHD. Ma di tutte ne resterà una sola.
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